📈 Incentivi, exit e i rischi nel Private Equity (PE)
Efficienza, tecnologia e mercati emergenti: dove si concentrerà il settore fino al 2030.
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Dopo aver esplorato controllo e leva finanziaria, oggi parliamo di due aspetti cruciali del Private Equity (PE): gli incentivi al management e le strategie di exit (uscita dall’investimento). Questi sono i veri motori del rendimento, e anche le sue principali incognite!
🔧 Incentivi che fanno la differenza
Nel PE, i manager non sono semplici dipendenti: sono co-investitori. Hanno bonus legati a obiettivi chiari, spesso quote dell’azienda, e clausole che li vincolano al successo del piano industriale. È il caso di Permira (società di private equity inglese), che nel buyout di Dr. Martens ha coinvolto il management con un piano di equity che ha moltiplicato il valore in vista dell’IPO del 2021.
Questo approccio crea un allineamento perfetto tra chi gestisce e chi investe. E non è solo questione di soldi: molti manager raccontano che, dopo il buyout, possono finalmente lavorare su progetti a lungo termine, senza l’ossessione dei risultati trimestrali (tipico delle aziende quotate in Borsa).
📈 L’exit: il momento della verità
Esattamente come quando investiamo in azioni o in fondi, il valore dell’investimento si realizza davvero solo quando si decide di liquidare la propria posizione, e così vale anche per il PE. Quando si investe direttamente sul controllo di un’azienda, le opzioni di exit principali sono:
Trade sale: vendita ad un’altra azienda. Rapido, spesso ben pagato.
Esempio: Advent International (società di private equity americana) ha venduto Laird Connectivity a TE Connectivity nel 2021, con un multiplo superiore alle 10 volte il valore dell’EBITDA.
IPO (Initial Public Offering): quando ci si quota in Borsa si ottiene molta visibilità e un potenziale di crescita in valore. Ma il processo per l’IPO è costoso e lungo. Esempio: Bridgepoint (società di private equity inglese) ha contribuito alla quotazione di Deliveroo sulla Borsa di Londra nel 2021, ma con risultati altalenanti per diversi fattori (tra cui alcuni rischi legati all’ESG).
SPAC (Special Purpose Acquisition Company): è un veicolo quotato che acquisisce una società privata, con diversi pro e contro. Dopo il boom del 2020-21, molte SPAC sono in difficoltà e sotto l’occhio del regolatore.
📈 I rischi legati a questo investimento
Il PE non è per tutti. Ecco perché è riservato a investitori qualificati con licenze per operare nel settore:
Investimento non ‘liquido’: non puoi vendere quando vuoi, e questo significa che i soldi investiti non sono facilmente ‘liquidabili’.
Valutazioni soggettive: spesso non c’è un prezzo di mercato, ma diversi Team di società indipendenti che valutano l’azienda in questione.
Costi elevati: tra commissioni di gestione (2%) e performance fee (20%), il conto può salire, e molto spesso si inizia a pagare dalla firma del contratto e per l’intero valore dell’investimento (definito commitment), anche se i soldi non sono stati ancora utilizzati per comprare un’azienda.
Concorrenza feroce: le aziende migliori da comprare sono contese, e i prezzi salgono.
Uno sguardo al futuro del Private Equity
Il private equity sta entrando in una nuova fase. Nei prossimi anni, dovrà affrontare un contesto più selettivo, ma anche ricco di opportunità per chi saprà adattarsi.
Tra il 2025 e il 2030, mi aspetto che il settore evolva lungo tre direttrici principali:
Efficienza e disciplina: con tassi d’interesse più alti e meno margine per errori, i fondi che investono nel settore dovranno essere più rigorosi nella selezione dei deal e nella gestione operativa.
Tecnologia e dati: l’uso dell’intelligenza artificiale, analytics e l’automazione diventeranno centrali nella due diligence e nel monitoraggio delle aziende in cui si investe.
Nuove frontiere: crescerà l’interesse per mercati emergenti e settori ad alto impatto come health-tech, AI industriale e infrastrutture sostenibili.
Il PE quindi non sarà solo un motore di rendimento, ma un architetto di trasformazione industriale. Ecco perché vale la pena seguirlo da vicino: perché dove va il capitale, spesso va anche il futuro.
Caro Donato, in questo contesto in evoluzione mi viene da pensare che l’Unione Europea potrebbe avere l’occasione di svolgere un ruolo guida: orientare il PE verso investimenti che non solo generano profitto, ma che contribuiscono anche agli obiettivi strategici dell’Europa: innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale, coesione sociale e sicurezza, non solo economica.
Attraverso politiche pubbliche mirate, partenariati tra settore pubblico e privato e incentivi mirati (come quelli previsti dal Green Deal europeo e dal piano InvestEU), l’UE potrebbe attrarre capitali privati verso settori chiave per la competitività e l’autonomia europea.
Una domanda per il futuro:
Come può l’Europa trasformare il private equity in un alleato strategico per costruire un’economia più verde, digitale e resiliente? Cosa ne pensano i nostri lettori?
Fonti esterne utilizzate per questa newsletter:
- Aviva Investors
- PitchBook
- CFA Institute